19 Set 2024
Leonardo Simoni: “L’Inter di mio papà, tra amore e umanità”. L’intervista di Fabrizio Cavasinni
Una chiacchierata di mezz’ora sulla piattaforma Youtube di Alessandro Cavasinni, notissimo giornalista-tifoso della Beneamata, con Leonardo Simoni, da quattro stagioni osservatore dell’Inter che proprio di recente ha ottenuto un biennale dalla dirigenza nerazzurra per l’ottimo e puntuale lavoro svolto in giro per l’Europa (è stato anche in Venezuela) alla ricerca di giovani talenti in grado di poter ben figurare in prima squadra. Il figlio del grande tecnico Gigi Simoni ha risposto alle domande che gli sono state poste spaziando tra presente, passato e futuro, ricordando la squadra del babbo che conquistò nel 1998 la Coppa Uefa e arrivò a un passo dallo scudetto, perduto in quella partita a Torino contro la Juventus rimasta nella storia dello sport per il rigore non concesso ai nerazzurri per il netto fallo di Iuliano su Ronaldo il Fenomeno, e riscontrando analogie, pur nelle differenze, nell’undici di Simoni Inzaghi che ha conquistato il ventesimo tricolore.
Un pezzo di quella seconda stella, che da questa stagione sarà appuntata sulla nuova casacca nerazzurra, è da ascrivere proprio a quella squadra diretta da Gigi Simoni rimasta, a distanza di quasi 25 anni, nell’immaginario collettivo del popolo degli Inter…nati. “Per me ricordare papà è sempre un grande onore e un immenso piacere e constatare che, a quattro anni dalla sua scomparsa, l’affetto e direi l’amore dei tifosi nei suoi confronti è rimasto immutato. Anzi, è cresciuto e si è alimentato nei racconti dei suoi ex calciatori e dei tanti sostenitori che in quegli anni avevano iniziato a frequentare San Siro e che si erano innamorati di quel manipolo di ragazzi guidati da un allenatore che faceva della normalità e della semplicità il suo modus vivendi”. L’Inter ha vinto lo scudetto numero 20 il 22 aprile scorso. E quel numero, il 22, ricorre spesso nella vita e nella carriera del tecnico gentiluomo, recordman di promozioni (7) nel campionato cadetto: “Sì, mio babbo è nato il 22 gennaio e ci ha lasciati il 22 maggio. Il 22 maggio è il giorno del Triplete, della vittoria della Champions del 2010 e a segnare i gol decisivi è stato Diego Milito che portava sulle spalle il numero 22. E quando lo scorso 22 aprile l’Inter ha vinto lo scudetto della stella una riflessione l’ho fatta. Quel numero per gli interisti, ma anche per mio padre al di là di ricorrenze e compleanni, è stato sempre ricco di significati”.
Leonardo Simoni è nato l’anno dopo la parentesi nerazzurra del padre quando il tecnico di Crevalcore allenava il Piacenza. Ma di quei 15 mesi da allenatore dell’Inter ne ha sentito parlare molto spesso in famiglia e dai calciatori guidati da grande Simoni: “Nonostante un periodo di tempo, tutto sommato breve, sulla panchina dell’Inter, la gente lo ha amato e continua a volergli bene. Per lui quell’esperienza è stato il punto più alto e gratificante della sua carriera. E in quella stagione e mezzo ha potuto allenare forse il calciatore più forte del Mondo: Ronaldo”. E non c’era soltanto l’asso brasiliano. Perché in quella squadra c’erano fior fior di campioni: Pagliuca, Bergomi, Winter, Zamorano, Djorkaeff, Moriero, Simeone ecc. “Tra mio padre e quei ragazzi si era creata un’alchimia speciale che resta ancora oggi perché tutti sono rimasti vicini a me e a mia madre e quando c’è una commemorazione o un ricordo di babbo si fanno in quattro per essere presenti e le telefonate non mancano mai. E dai racconti che mi sono stati fatti e anche da quello che mi diceva papà, lui e Ronaldo un po’ si assomigliavano. Perché, almeno nei primi due anni di Inter, il Fenomeno era un campione assoluto, ma anche un ragazzo semplice, umile, senza stereotipi e sovrastrutture. Non si sentiva potente e non si circondava di persone che curavano la sua immagine o gli dicevano cosa dire e cosa non dire come accade per alcuni moderni protagonisti del pallone. Lui sapeva di essere importante per l’Inter, ma con i compagni non mostrava mai a gesti o a parole la sua superiorità. Ecco, posso dire senza mezzi termini che quella rosa era formata prima da uomini e poi da calciatori”.
E proprio il valore umano, che in assoluto è il valore che più di ogni altro racchiude un’esistenza, era il trait d’union tra il mister e i suoi ragazzi: “La tranquillità e la serenità, anche nei momenti anche più difficili, sono stati punti di forza di mio padre. Il suo essere una persona normale in un mondo dorato come quello del calcio, dove è difficile restare sempre con i piedi per terra, è servita e non poco a cementare quel gruppo. Mi ricordo sempre il racconto di un tifoso che si meravigliò vedendo mio babbo che prendeva, come tutti i milanesi che andavano al lavoro, la metropolitana. Perché il tecnico dell’altra formazione meneghina usava il taxi o l’autista. Lui, francamente sorpreso, replicava che abitando in centro a Milano la metro era il mezzo più comodo per spostarsi per andare al lavoro. Lo pensava per davvero. Perché lui si sentiva un lavoratore come tutti gli altri con la differenza che…. era l’allenatore dell’Inter”.
Certo, quell’esonero inaspettato proprio il giorno della vittoria della panchina d’oro, gli aveva pesato e non poco: “Apparve a tutti fuori contesto. Perché è difficile pensare di poter essere cacciati dopo aver battuto a San Siro il Real Madrid, conquistando da prima della classe l’accesso al secondo turno di Champions, e aver vinto in rimonta in campionato con la Salernitana con l’abbraccio di Zanetti a mostrare la grande unità del gruppo che si stava riprendendo da un avvio difficile legato alle inevitabili scorie della stagione precedente. Pagliuca mi ha sempre raccontato che, mentre si trovava a Bologna nel giorno di riposo, ricevette la telefonata da un dirigente che gli annunciava la decisione di Moratti di esonerare papà. I giocatori erano disperati e una delegazione si precipitò in sede a Milano per convincere il presidente a desistere”.
Ma ormai la decisione era stata presa e Simoni venne sostituito da Lucescu: una scelta che si rivelò catastrofica con i nerazzurri che alla fine rischiarono la serie B: “Moratti in più circostanze, anche direttamente a babbo a cui ogni anno per Natale inviava un panettone gigante, si è scusato ammettendo di aver commesso il più grande errore durante la sua presidenza”. Altri al posto di Gigi Simoni non si sarebbero più ripresi dallo choc di un esonero ingiusto. Invece l’allenatore-signore con la pacatezza e la serenità che lo ha sempre contraddistinto ha ripreso ad allenare e a vincere: riportando l’Ancona in A, salvando il Napoli dalla C e poi, in due stagioni, diventando l’artefice del miracolo Gubbio che in 24 mesi dalla C2 raggiunse la B che mancava dal 1947: “L’esperienza umbra l’ho vissuta in prima persona – racconta ancora Leonardo Simoni – e ricordo la gioia di papà nel vedere quella buona e brava gente festeggiare quello che ancora oggi a distanza di una dozzina d’anni reputano un autentico miracolo sportivo. Per lui vincere in una squadra di provincia o in una piazza importante aveva identico valore. Perché aveva realizzato il suo sogno che era quello di diventare allenatore e regalare soddisfazioni ai tifosi”.
Leonardo Simoni parla anche dell’Inter di Simone Inzaghi. Più di uno, anche Xavier Zanetti, trova analogie con quella di Gigi Simoni che, come l’attuale trainer nerazzurro, ha un buon rapporto con i giocatori: “Papà era una persona unica nel suo genere, ma con il tecnico dello scudetto trovo una certa somiglianza nel modo mai sguaiato di stare in panchina tenendo un comportamento corretto senza mai fare sceneggiate. Anche mio padre aveva un rapporto di amicizia con i suoi ragazzi, ma non derogava mai dal suo ruolo di allenatore-educatore e se qualcuno sgarrava piovevano multe e il tono di voce mutava. Perché il rispetto e la differenza dei ruoli non veniva mai meno”. Sul suo futuro nel calcio, Leonardo, che assomiglia a papà Gigi come una goccia d’acqua e ha preso molto del suo carattere, spera di poter contribuire ai successi di una squadra di tifosi speciali come l’Inter: “Babbo è stato un grande allenatore e una persona stimata universalmente nell’ambiente. Io spero nel mio piccolo di non deluderlo e sto dando tutto me stesso per dare il meglio per i colori nerazzurri. Il futuro? Sin da piccolo ho sempre pensato a questo ruolo. Andavo a vedere gli allenamenti, mi ponevo interrogativi, chiedevo risposte a babbo o ad altre persone a lui vicine. In questo momento sono concentrato sull’Inter cercando di assolvere al meglio quanto mi viene chiesto da Corrado Verdelli, capo scout nerazzurro che mi fornisce sempre i giusti consigli”.